L’Ippodromo di Tor di Valle rischia di scomparire

170608

Davide contro Golia. Da un lato l’Ippodromo di Tor di Valle a Roma, realizzato nel 1959 dall’architetto Lafuente e dagli ingegneri Rebecchini, Benedetti e Birago; dall’altro programmi insediativi che prevedono uno stadio per la società di calcio della Roma più edifici residenziali, in deroga alle norme del Piano Regolatore. Da un lato l’attenzione a certi valori dell’architettura italiana degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, dall’altra un intervento a scala territoriale senza regole definite che ne disciplinino i criteri e ne determinino la ‘misura’. Da un lato la tutela di un momento della nostra cultura più recente, dall’altro una urbanistica che sembra ragionare esclusivamente in termini di grandi numeri e di metri cubi.

Do.Co.Mo.Mo. Italia ha scritto agli Uffici dirigenziali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in difesa dell’opera e dei valori che essa rappresenta. In questo confronto sono in gioco il ruolo della tutela nella gestione del territorio e il ruolo e l’autorevolezza del MiBACT nei processi di rigenerazione urbana.

La struttura sfilante dell’Ippodromo di Tor di Valle, come una sorta di basso orizzonte, valorizza la libera distesa dello spazio antistante. E ne è, a sua volta, esaltata. Di qui il rapporto, spaziale oltre che funzionale, tra architettura e contesto su cui è incentrata la ‘dichiarazione d’interesse’ avviata dalla competente Soprintendenza sia sull’opera, sia sul più immediato intorno territoriale. Si tratta di uno dei rari casi in cui un provvedimento di tutela puntuale è stato integrato contestualmente dal cosiddetto ‘vincolo indiretto’. In altri Paesi, come il Portogallo, la Francia, il Belgio, l’Austria, la Bulgaria, l’Ungheria, i Paesi Bassi, molti Paesi nordici, come l’Irlanda e il Regno Unito, molte ex-Repubbliche sovietiche, e ancora il Kosovo, la Grecia, Cipro, ecc., ‘monumento’ e contesto camminano insieme. In Italia tale procedura sarebbe conforme a un concetto acquisito nella cultura di settore fin dagli anni ’60 del secolo scorso. Eppure, è applicata di rado: è lo stesso Codice che separa il ‘vincolo diretto’ (art. 10) da quello ‘indiretto’ (art. 45) frapponendovi ben 35 articoli e stabilendo per l’uno e l’altro procedure distinte.

Per sminuire l’interesse dell’Ippodromo si è parlato di modifiche intervenute successivamente, di condizioni di deterioramento delle strutture e di insussistenza di un loro carattere inedito al confronto con la coeva produzione architettonica.
Quanto alle modifiche successive, esse non sono irreversibili. I tramezzi, i controsoffitti, i nuovi volumi hanno solo ‘mascherato’, non cancellato l’essenzialità delle strutture. Non ne hanno comportato la perdita definitiva, consentendone il ripristino. E l’interesse dell’opera non scompare perché alcune sue parti non sono più visibili, nello stesso modo in cui un reperto archeologico lasciato, per sicurezza, nel sottosuolo è comunque documentato e tutelato.
Quanto alla condizione delle strutture, esse mostrerebbero in generale fenomeni di deterioramento del calcestruzzo e dei ferri di armatura, del tutto rimediabili; né è richiesto l’adeguamento antisismico per opere vincolate, essendo consentito per esse il semplice miglioramento.
Quanto, infine, alle disquisizioni sul rapporto con le strutture coeve e sull’innovazione strutturale che l’opera testimonierebbe, tali argomenti sono, certo, pertinenti alle motivazioni del vincolo. Ma non definiscono in modo esauriente le ragioni che determinano la qualità di questa architettura, percepibile anche da chi non sa nulla di strutture a ombrello e a paraboloide iperbolico. Ci riferiamo al carattere assolutamente informale di una spazialità contemporaneamente interna ed esterna, ottenuta attraverso l’accostamento ‘aereo’ di pensiline, travi a mensola, pilastri sagomati, gradonate, vetrate. Visibilmente distinti per forma, materiale, funzione, questi elementi sembrano, infatti, privi di gravità come se, volando nell’aria, si fossero casualmente incontrati e composti in un miracoloso quanto precario equilibrio, ognuno conservando una specifica autonomia figurativa.

Ugo Carughi

Immagine tratta da Il Portale degli Archivi degli architetti – Ministero dei Beni e delle Attivita’ Culturali e del Turismo – Direzione generale archivi – Servizio Archivistico Nazionale – Fonte Eredi Lafuente Julio