A proposito della vicenda del centro polivalente di Boeri

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Come un sasso tirato in uno stagno, il sequestro disposto dalla Procura di Spoleto del centro polivalente realizzato vicino Norcia, ha suscitato ondate di polemiche.

L’architetto Stefano Boeri, che talvolta vediamo sullo sfondo di un alto edificio – detto “bosco verticale” – in cui le piante sembrano aver sostituito gli abitanti, ha disegnato i padiglioni, dirigendone la realizzazione a titolo gratuito: strutture limitate al solo livello terreno, le cui coperture a falde continue, variamente inclinate, sembrano schematizzare il profilo dei monti circostanti.

Sono contrarie, queste strutture, ai valori del paesaggio? Il legno lamellare impiegato è un materiale naturale ed elastico; l’assemblaggio è realizzato con bulloni: pilastri, travi e pannelli di chiusura sono, dunque, smontabili. Un basamento costituito da travi rovesce in cemento armato, opportunamente distanziate, garantisce un’accettabile permeabilità sul terreno e un’adeguata stabilità: siamo pur sempre in un’area a rischio terremoto.

E intanto, come per dispetto, il sequestro comporta la sospensione delle attività e dei momenti di aggregazione che avevano cominciato a colorare quegli spazi, dando nuovi significati di riscatto e speranza alla quotidianità di quei luoghi disastrati.

Come sempre, il clamore della notizia ha creato due schieramenti contrapposti. Da un lato la magistratura e la soprintendenza, dall’altro la Protezione Civile, il sindaco di Norcia, i professionisti, il Corriere della Sera e Tg La7 che hanno raccolto i contributi per la realizzazione dell’opera. Nel mezzo, i cittadini, che non comprendono: perché la legge è contro la legge?

In realtà, l’ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile del 28 agosto 2016 prevede la deroga a ben dieci articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio. A parte gli aspetti urbanistici, l’area in questione è, infatti, sottoposta a vincolo paesaggistico fin dal 12 ottobre 1962, ai sensi della legge n. 1497/1939 all’epoca vigente, poi articolo n. 136 d) del Codice, che cita «le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze».

Pertanto (art. 142), in regime ordinario, il proprietario dell’area avrebbe dovuto «presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato dalla prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione». Tra i rari casi di sanatoria di opere realizzate senza autorizzazione, l’articolo n. 167 contempla solo «i lavori … che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumenti di quelli legittimamente realizzati».

La deroga dell’Ordinanza della Protezione Civile riguarda, tra l’altro, «la realizzazione dei soli interventi urgenti finalizzati … all’allestimento di strutture temporanee di ricovero per l’assistenza alla popolazione nonché … per assicurare la continuità dei servizi pubblici».
Occorrerà, dunque, verificare se il centro polivalente è assimilabile alle strutture previste nell’ordinanza; se c’è stata un’istruttoria volta ad accertare che la paventata urgenza non avrebbe potuto essere soddisfatta seguendo le procedure ordinarie, o quelle semplificate già previste dalla legge; in quali termini si configura il carattere di temporaneità delle strutture, che sarebbe garantita dalla reversibilità delle tecnologie utilizzate per la loro realizzazione, ma non definita circa la loro durata, ecc.

Le Ordinanze contingibili e urgenti sono, infatti, atti di secondo grado a contenuto atipico adottati per fronteggiare situazioni eccezionali. E possono derogare alla disciplina di rango primario. Ma proprio la loro atipicità comporta che siano sottoposte a limiti e verifiche dei contenuti e delle prassi applicative. E ciò, anche considerando la preminenza della normativa paesaggistica rispetto ad altre leggi di carattere ordinario in quanto riferita all’art. 9 dei Principi Fondamentali della Costituzione: «La Repubblica italiana … tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

Ad esempio, occorrerebbe capire perché, pur assumendo l’urgenza come imperativo, il progetto non abbia seguito l’iter abbreviato della conferenza dei servizi, magari nella versione semplificata attraverso l’invio telematico degli atti; perché si assiste sempre, in Italia, a un arroccarsi degli uffici dietro le proprie competenze, in una sorta di gara su quale norma debba prevalere, in un dedalo di regole sempre più complesso.

L’incomunicabilità tra istituzioni è spesso figlia dell’ignoranza di leggi anche importanti. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, ad esempio, esaltato da illustri studiosi – che però non ne hanno mai applicato le disposizioni – è una cenerentola nelle Facoltà di Giurisprudenza, relegato in una nicchia del Diritto Amministrativo, ignorato da professori e studenti: è tra le leggi meno conosciute e comprese.

Ugo Carughi