Secondo Workshop sul Piano di Conservazione dei Collegi Universitari di Urbino


Programma (PDF)

Abstract dell’intervento di Ugo Carughi
Ruolo delle Soprintendenze nella tutela dell’architettura del ‘900 e alle problematiche che presiedono all’uso dei loro strumenti di lavoro.

I valori civili e sociali, spesso genericamente associati al più ‘scontato’ interesse culturale attribuibile alle opere dei secoli precedenti, si rivelano del tutto scoperti quando si parla di patrimonio del Moderno, anche perché, spesso, il restauro e il riutilizzo di queste opere è più problematico rispetto a quelle del passato.
Accenniamo a due esempi, entrambi molto differenti dal caso dei Collegi di Urbino ma, uno di essi in particolare, la fabbrica Olivetti a Pozzuoli, di Luigi Cosenza, con alcune analogie. L’altro è il Marchiondi di Vittoriano Viganò.

L’Istituto Marchiondi è sottoposto a ben due vincoli. Il primo nell’ottobre 1995 ai sensi della legge n.633/1941 ‘sul diritto d’autore’, a seguito della richiesta dello stesso Viganò; il secondo nell’aprile 2008 con l’accertamento di valore (art. 12 del Codice) chiesto dal Comune di Milano quando ancora i fatidici 50 anni non erano diventati 70 per gli edifici di proprietà pubblica. Ma, non ostante il concorso di circostanze apparentemente favorevoli, l’edificio è in condizioni disperate. Si tratta di un tipico esempio attraverso il quale illustrare i limiti degli strumenti di tutela: Il vincolo sul diritto d’autore e il vincolo diretto, ‘intrinseco’ e ‘relazionale’. Limiti che risaltano ancor più alla luce della straordinaria e precocissima fortuna critica dell’opera, i cui caratteri architettonici e strutturali richiamano direttamente quelli del romanico lombardo.

L’altro esempio è la Fabbrica Olivetti di Pozzuoli. La parte del complesso realizzata nel 1954 era composta essenzialmente da corpi lineari, disposti a croce secondo gli assi est – ovest e nord – sud, con altri padiglioni accessori.
Tra gli elementi di maggior rilievo che conferiscono qualità al progetto, sono la concezione innovativa della fabbrica come luogo “piacevole” e umano per il lavoro e la concezione unitaria di un insieme di cui è parte integrante il verde, progettato e realizzato in stretta relazione agli edifici.
Ruolo centrale del progetto della Fabbrica era lo spazio a dimensione dell’operaio sia nel suo ruolo produttivo in officina, sia nell’insieme delle sue attività oltre il tempo di lavoro.
Le vicende del vincolo diretto, apposto solo sui padiglioni meno recenti dei 50 anni e della successiva parcellizzazione ad opera della magistratura, illustrano la generale mancanza di cultura della tutela e i modi in cui una norma possa essere male interpretata, vanificando l’azione istituzionale del MiBACT.