Per Marco Dezzi Bardeschi, ut vivat

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Profondo umanesimo e curiosità instancabile: questa la cifra distintiva dell’operosa vita di Marco Dezzi Bardeschi, nato a Firenze il 30 settembre 1934, scomparso il 4 novembre 2018 nel pieno delle forze e della capacità di lavoro che lo hanno sempre accompagnato. Dotato di cultura e vivacità intellettuale fuori dal comune, Dezzi Bardeschi ha sempre coniugato lo studio con il fare architettonico, pubblicando più di un migliaio di contributi scientifici che spaziano dalla storia dell’architettura al restauro, ma anche realizzando molte opere, alcune delle quali ormai annoverate tra i tópoi del restauro mondiale, come il Palazzo della Ragione di Milano (1978-86) o il più recente Tempio Duomo di Pozzuoli (2003-18).

Dezzi Bardeschi si laurea in Ingegneria a Bologna con Giovanni Michelucci (1957) e poi in Architettura a Firenze con Piero Sanpaolesi (1962), con una tesi su Leon Battista Alberti, figura alla quale dedicherà in seguito importanti studi. Entrato come funzionario architetto della Soprintendenza di Arezzo (1964) si rende subito protagonista di una battaglia per l’inserimento del nuovo nell’antico, progettando un nuovo altare per la Basilica di San Francesco, che solleva polemiche tra conservatori e innovatori, mentre coordina, nello stesso 1964, la II Mostra Internazionale del Restauro Monumentale a Palazzo Grassi, nell’ambito del Congresso che darà vita alla Carta di Venezia. Lasciata la Soprintendenza per passare al ruolo di assistente ordinario alla Facoltà di Architettura di Firenze (1968), prosegue la sua carriera accademica presso l’Istituto di Restauro dei Monumenti diretto da Sanpaolesi, dove insegna Caratteri stilistici e costruttivi dei monumenti, pubblicando intanto monografie su Frank Lloyd Wright (1970) e la facciata di Santa Maria Novella (1970).

Dal 1976 è professore ordinario alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove fonda nel 1980 il Dipartimento di Conservazione delle Risorse Architettoniche e Ambientali e poi l’omonimo Dottorato di ricerca. Convinto della necessità di ritornare alla fabbrica e alla sua fisicità, con un approccio mutuato dalle ricerche della Nouvelle histoire, Dezzi Bardeschi promuove un radicale rinnovamento della cultura del restauro, spingendola sulla strada della conservazione, lungo un cammino ideale iniziato da Hugo, Ruskin, Boito e Riegl. La sua verve scatena vivaci schermaglie dialettiche con altre grandi personalità del tempo, come Paolo Marconi, sostenitori di orientamenti opposti, e influenza indirettamente anche il coevo dibattito sul rinnovamento del restauro critico, declinato in senso più conservativo da Giovanni Carbonara proprio a partire dagli anni ’80.

Intanto la sua operosità architettonica prosegue senza sosta, con il restauro della Biblioteca Classense a Ravenna (1979-88), del Palazzo Gotico a Piacenza (1982-86), e di numerosissimi altri complessi. In tutte queste occasioni, Dezzi Bardeschi coglie l’opportunità per svolgere approfondite ricerche archivistiche che gettano nuova luce sulle fabbriche da lui indagate e conservate, dando esito anche a importanti pubblicazioni monografiche. Affianco a questa spiccata attenzione alla fisicità della fabbrica convive sempre una piena apertura al progetto del nuovo, che si esprime con spregiudicata libertà compositiva, traendo però linfa vitale dalla storia. E, soprattutto, un mai sopito interesse per i temi dell’iconologia, derivati dalla scuola di Aby Warburg, tradotti sia in occasioni di studio – basti citare la breve ma intensa esperienza della rivista «Psicon» (1974-76), fondata e diretta con Eugenio Battisti e Marcello Fagiolo – che nel concreto operare. Si spiegano così le tante «cosmogonie» da lui realizzate, dalla Biblioteca Classense al controsoffitto stellato del Tempio Duomo di Pozzuoli, ma anche i tanti affascinanti scritti «oltre l’architettura», raccolti poi nell’omonimo volume curato da Gabriella Guarisco (2003).

Agli inizi degli anni Novanta, poco dopo la pubblicazione del suo celebre volume Restauro: punto e a capo (1991), Dezzi Bardeschi fonda nel 1993 la rivista ‘ANANKE, nata con l’esplicito intento di «stimolare una più profonda riflessione sui corretti fini della disciplina», richiamandosi alla celebre pagina di Hugo in Notre-Dame de Paris (1831). Con l’ausilio di una nutrita squadra di collaboratori, ‘ANANKE persegue così l’obiettivo – più che mai raggiunto – di raccogliere le migliori energie intellettuali sul tema della conservazione, facendo convivere, dal primo all’ultimo numero appena pubblicato, gli intrecci della storia, del progetto e dell’operatività di questa complessa disciplina.

Accademico delle Arti e del Disegno a Firenze dal 1981, presidente del Comitato Italiano ICOMOS dal 2002 al 2007, Dezzi Bardeschi ha poi svolto una instancabile attività internazionale, esplicitata attraverso innumerevoli partecipazioni a convegni, conferenze, lezioni, tra le quali giova ricordare un proficuo contatto col Brasile, dove era stato più volte professor visitante.

Ma, soprattutto, Dezzi Bardeschi ha militato con tenacia incessante per la salvaguardia delle testimonianze materiali di ogni civiltà, bandendo ogni superficiale selezione, per ribadire la necessità di una loro integrale trasmissione al futuro. Su questa linea egli ha attivamente difeso il patrimonio dell’architettura contemporanea, condannando demolizioni e ripristini, individuandone precocemente nodi problematici e mantenendo un costante osservatorio attraverso ‘ANANKE.

Non è retorico affermare che l’operosa vita di Marco Dezzi Bardeschi non si concluderà nel ciclo della sua esistenza terrena. Essa infatti proseguirà nelle innumerevoli schiere di allievi di almeno tre generazioni e di tanti paesi del mondo che sono stati incantati dalla sua cultura, dalla sua vitalità e dal suo entusiasmo. Allo stesso tempo, tuttavia, la sua dipartita in questo momento ci lascia un profondo vuoto. Ma, come lui stesso amava scrivere, il suo vivo ricordo deve alimentare la fiducia nella continuità delle sue idee e delle sue opere, ut vivat.

Andrea Pane