Ugo Carughi. Il patrimonio seriale

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Fino al secolo scorso le mostre sull’architettura del ‘900 erano prevalentemente impostate sui criteri selettivi delle opere. Contesti e processi produttivi facevano parte dello sfondo. Ma il rilievo che lettere, scritti, schizzi e grafici assumono anche nella percezione di un pubblico più vasto è, ormai, crescente. Nella continua evoluzione delle prospettive critiche e, nel caso dell’architettura, di quelle funzionali, i documenti d’archivio vanno considerati come un ‘capitale consolidato’ rispetto al ‘tasso d’interesse’ variabile delle architetture realizzate. Un capitale da utilizzare per avvicinare studi di settore, opinione pubblica e attività di tutela.

Consideriamo, ad esempio, la produzione di Pier Luigi Nervi, ormai celebrata anche per strutture fino a ieri trascurate, come si evince dai contributi e dalle mostre più recenti; l’ultima, Pier Luigi Nervi. Architetture per lo sport, inaugurata al MAXXI il 5 febbraio 2016. In particolare, strutture ad arco e coperture voltate potrebbero suggerire una strategia di tutela e valorizzazione complessiva seguendo il fil rouge che le collega, a partire dalle irrealizzate aviorimesse di Ciampino (concorso del 1935). Qui l’ingresso dei velivoli era previsto dal lato più lungo, diradando i sostegni della copertura. Questa soluzione-chiave, di matrice compositiva prima che strutturale, fu affinata su luci ancora maggiori nelle prime due aviorimesse di Orvieto (1935-1938) e nelle successive a Torre del Lago, Orvieto e Orbetello (1939-42), tutte distrutte dai tedeschi, dove gli archi incrociati poggiavano su una trave di bordo, sostenuta solo agli estremi e in mezzeria per consentire il transito degli aerei.

In assenza dell’opera, le fotografie, i grafici, i modelli di queste strutture documentano un teorema variamente interpretato da Nervi in tutte le successive architetture voltate, realizzate con sistemi progressivamente migliorati e legate l’una all’altra come in un unico racconto. Dai due hangar di Marsala (1938-43), al Magazzino della sofisticazione dei sali a Margherita di Savoia, in Puglia (1933-36; 1954-55); dal progetto irrealizzato per la Stazione centrale di Palermo (1946), alla Piscina dell’Accademia Navale di Livorno (1948-50); dai Magazzini del sale di Tortona (1949-51) ai capannoni della Manifattura Tabacchi di Bologna (1951-55). Una delle chiavi di volta di questo teorema è in quell’orizzonte spaziale e strutturale da cui si librano le coperture: una linea continua, rettilinea o ondulata, che disegna il limite tra gravità e leggerezza; tra incombenze funzionali e distributive, risolte al suolo in modo autonomo dalle coperture grazie al diradarsi dei sostegni, e una libera idea di spazio addensato negli intradossi voltati, qualificato dalla trama degli archi e spesso dalla luce naturale. Ed ecco i capolavori italiani: i Saloni B (1947-49) e C (1949-50) di Torino Esposizioni, a proposito dei quali lo stesso Nervi chiama in causa il sistema costruttivo di Tortona; il Palazzo dello Sport (1958-60) e il Palazzetto dello Sport (1958-60), dove la copertura si arresta a una certa altezza toccando terra solo con i cavalletti inclinati; l’Aula delle Udienze Pontificie (1966-71), dove gli ambienti accessori si prolungano autonomamente, ben oltre le nervature della copertura voltata.

E’ incredibile che, tra le opere citate, quasi nessuna sia tutelata, non ostante il loro interesse certificato dalle iniziative di alcune delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed estere, oltre che dall’attività di associazioni quali Docomomo Italia (Associazione italiana per la documentazione e la conservazione degli edifici e dei complessi urbani moderni). Come per caso, risultano vincolati solo i padiglioni di Bologna, nel 2010, e di Margherita di Savoia, nel 2011, mentre è abortito sul nascere l’accertamento d’interesse per il complesso espositivo torinese. Quanti altri casi dovremmo citare, in Italia? Sulla scorta delle sintetiche considerazioni fatte, riteniamo che all’opera di Nervi, come di tanti altri architetti italiani, potrebbe essere applicato il concetto di ‘Patrimonio seriale’, assunto dall’UNESCO fin dagli anni ’80, in cui la qualifica d’eccellenza, solitamente assegnata a un singolo bene, è trasferita a una ‘serie’ definita da aspetti comuni. Lo segnaliamo anche in vista di un auspicabile aggiornamento della legislazione italiana di tutela. Fatti salvi gli innumerevoli fattori di diversificazione tra un’opera e l’altra, il riconoscimento ‘seriale’, con prescrizioni su valori ricorrenti, potrebbe essere richiamato nelle singole ‘dichiarazioni d’interesse culturale’. Si inaugurerebbe, così, una sorta di ‘tutela a rete’. Il patrimonio architettonico nazionale non sarebbe più percepito, anche all’estero, in modo episodico e puntuale attraverso singole opere, ma mediante strutture contestuali di edifici e di siti; l’azione di tutela sarebbe condotta dagli uffici territoriali del Ministero adottando criteri coordinati che ne mitigherebbero la discrezionalità; gli stessi organi giurisdizionali impegnati nei contenziosi potrebbero avvalersi di riferimenti più affidabili.

Ugo Carughi

 

La fotografia è tratta dalla pagina Wikipedia di Tortona ed e Creative Commons