Davide Allegri
anno di pubblicazione: 2019
lingua: italiana
ISBN 9788898877973
edizione: Scripta Edizioni (Verona)
Lo studio dei materiali del Fondo Renzo Zavanella (conservato presso l’archivio CSAC di Parma) ci restituisce il quadro di un’opera straordinariamente articolata e multiforme che rappresenta, in tutta la sua originale complessità, un significativo tassello del Novecento architettonico italiano. L’architetto mantovano costituisce, inoltre, un importante satellite di quella costellazione tipicamente lombarda e milanese che fa riferimento alla variegata galassia del professionismo colto, all’interno della quale si sono poi riscoperti, spesso con ritardo, progettisti di indubbio valore.
Zavanella, figura spuria che “non si è mai vista riconoscere il suo giusto posto nella storia dell’architettura contemporanea”, è stato però qualcosa di più e di diverso anche rispetto a questa definizione. Nato a Mantova allo scoccare del Secolo breve la sua vicenda, che si svolge quasi tutta a Milano, costituisce un capitolo sostanzialmente obliterato del grande romanzo dell’architettura del Novecento. Tra le due guerre collabora con Gio Ponti e Luciano Baldessari ed è “compagno di strada” di alcuni dei maggiori protagonisti della cultura architettonica e artistica italiana: più direttamente con Enrico Ciuti, Lucio Fontana (col quale realizzerà piccoli capolavori di architettura funeraria al Monumentale di Milano), Raffaello Giolli, Giulio Minoletti, Giuseppe Pagano, Edoardo Persico, Agnoldomenico Pica; più marginalmente Franco Albini, Ignazio Gardella, Giancarlo De Carlo, Carlo De Carli, Ernesto Nathan Rogers, Marco Zanuso. Nel secondo dopoguerra è, tra gli architetti, uno dei maggiori protagonisti del “miracolo economico” italiano, disegnando i nuovi spazi e gli oggetti simbolo della società del consumo di massa e concentrando la propria attività professionale su diversi fronti: dall’architettura espositiva (che sarà, per tutta la sua carriera, settore privilegiato di sperimentazione), al design di interni, dal nascente settore dell’industrial design (dove l’oggetto “di serie” sarà da lui concepito come “pezzo unico” dalla raffinata artigianalità del dettaglio, in un approccio sospeso tra Albini e Mollino), fino ad arrivare allo studio e alla realizzazione di prototipi da prodursi in serie per abitazioni-tipo e per gli edifici a servizio della meccanizzazione diffusa (stazioni di rifornimento, autogrill). Zavanella sarà poi chiamato a cristallizzare (per OM e, soprattutto, per la Banca Popolare di Milano negli anni Cinquanta e Sessanta), all’interno di un innovativo concetto di total-design, un’idea avanzata di corporate-image aziendale.
Anche nell’ambito dello sviluppo delle tecnologie legate all’industrializzazione edilizia l’architetto mantovano fornisce, come scriverà anche Giulia Veronesi, il suo “apporto originale all’architettura”, attraverso l’applicazione “poetica” di sistemi modulari montati a secco, nuovi paradigmi di processi produttivi basati sulla serialità e sulla razionalità economica e costruttiva. Esperienza, quella del dopoguerra, che si colloca nell’alveo della nascita della cultura tecnologica del progetto che vedrà poi la sua fondazione, più compiutamente anche in termini disciplinari e accademici, all’inizio degli anni Settanta. Un’azione che, seppur ancora caratterizzata per molti aspetti da un approccio sostanzialmente basato su di una “artigianalità industriale”, conteneva già in nuce i crismi di una riflessione – comune a molti dei protagonisti del Moderno – che tendeva a superare la sterile contrapposizione accademica tra funzionalismo e formalismo, concentrando con maggiore determinazione la ricerca progettuale sulla sua espressione tecnica. In questo senso, tali ricerche anticipavano una dimensione del progetto già in grado di contemplare un rinnovato rapporto tra teoria e prassi incardinato in un approccio metodologico e scientifico del processo creativo dove l’aspetto “processuale” (prima ancora del suo esito formale) potesse prevalere. Un pensiero progettuale che procede, in Zavanella, di pari passo sui diversi registri di forma-funzione e di poesia-tecnica, riportando così – come sosteneva lo stesso Ernesto Nathan Rogers – i problemi della quantità alla inderogabile sanzione della qualità, in quanto unico e vero contenuto etico della estetica in grado di ricondurre, in ultima analisi, il mestiere di architetto alla sintesi originale della techné.